Claude CORRADO
GIULIO CAMPI (Cremona, 1502 – 1572)
Ritratto di gentiluomo con fazzoletto e lettera
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GIULIO CAMPI (Cremona, 1502 – 1572)
Ritratto di gentiluomo con fazzoletto e lettera
Olio su tela (restauri e usure) 126 x 97 cm Cornice antica probabilmente ridorata (restauri e qualche danno) GIULIO CAMPI (Crémone, 1507 circa – ante 5 mars 1573) Portrait d’un homme de qualité au mouchoir et portant une lettre Huile sur toile (restaurations et usures) 126 x 97 cm Cadre ancien probablement redoré (restaurations et quelques accidents) Provenienza / Provenance : Collezione Placido Gaslini, Milano (1932) Collezione Annibale Scaroni, Milano Pubblicazioni / Publications: A. Perotti, I Pittori Campi da Cremona, Milano [s.d. ma 1932], pp. 17-18, fig. 10 A. Venturi, Storia dell’arte italiana. La pittura del Cinquecento, IX, parte VI, Milano 1933, pp. 848-849, fig. 513 A. Ghidiglia Quintavalle, Nuove ascrizioni a Giulio e ad Antonio Campi, in «Proporzioni», III, 1950, Omaggio a Pietro Toesca, pp. 170-171 Si ringrazia il Professor Marco Tanzi per aver confermato l’attribuzione sulla base della fotografia in alta e redatto la scheda delle pagine precedenti. Posso comodamente affermare che conosco questo notevolissimo dipinto – naturalmente solo grazie all’analisi indiretta sull’immagine fotografica, vista la sua importante collocazione editoriale – dall’inizio dei miei studi sui pittori cremonesi alla fine degli anni Settanta del secolo scorso: per la precisione dal 1977-1978. L’austero e imponente ritratto di anziano gentiluomo conosce il suo apice di fortuna critica negli anni 1932-1933, quando si trova in Casa Gaslini a Milano ed è pubblicato, con il corretto riferimento attributivo a Giulio Campi, da Aurelia Perotti nella sua pionieristica monografia sulla famiglia di pittori cremonesi, e da Adolfo Venturi in uno dei suoi volumi sulla Storia dell’arte italiana dedicati al Cinquecento. Sono testi che ho molto maneggiato in gioventù, quando cominciava la mia, ormai molto datata,predilezione per i fratelli cremonesi. Vale la pena trascrivere entrambe le descrizioni, sia per intendere la considerazione di cui godeva in quel momento il dipinto che immergerci in due belle pagine della prosa d’arte del tempo: non dimentichiamo che da pochissimo, nel 1929, erano usciti i Quesiti caravaggeschi di Roberto Longhi. Di Giulio Campi è un altro ritratto, nobile e bella figura di vecchio gentiluomo dallo sguardo corrucciato ed altero, che si trova nella raccolta Gaslini a Milano. Anche qui l’ampio panneggio del fondo e il ricco abito nero guarnito di pelliccia sono appena segnati da sbavature di luce: e a contrasto spiccano il colletto ornato di pizzo e il fine fazzoletto intrisi di candore. Bianchi sono i capelli e la barba tagliata signorilmente a punta, mentre gli occhi brillano fieri sotto l’arco sporgente delle sopracciglia. Questo ritratto è una delle opere migliori del Campi: la sua pennellata agile e sciolta si fa delicata e attenta per riprodurre con minuziosa cura i tratti dell’ignoto personaggio e per renderne con incisiva evidenza l’espressione intensa. Palese è anche la derivazione tizianesca dell’arte del Campi, sebbene egli si mostri qui ben lontano dall’olimpica serenità degli eroi di Tiziano e più di lui aderente alla umana realtà del suo modello. (Perotti, 1932) Più antica, per l’impronta veneta del colore, si dimostra un’opera notevolissima di Giulio Campi, il Ritratto di vecchio gentiluomo in Casa Gaslini. Sopra un fondo drappeggiato di velluto, torreggia in una poltrona il vegliardo ferreo, inflessibile, non tocco dal tempo nella fibra gagliarda: in una mano tiene una lettera, nell’altra un fazzoletto, brano pittorico notevole per la sensualistica corposità del bianco impastato di luce. L’alta persona, con qualche sbavatura d’argento sugli orli in pelliccia della zimarra di velluto, si spiana nell’ombra, lasciando emergere, con potenza di sintesi luministica mai altrove raggiunta dal Campi, la testa severa. E sembra prodigio il coincider spontaneo della visione fissata sinteticamente dalla luce con le dettagliate finezze della barba e dei capelli di bianca seta lieve, in questo ritratto d’uomo autoritario e rigido, dove il mediocrissimo Campi della gentildonna di Casa Fassati s’incammina con passo deciso verso gli orizzonti del Caravaggio e di Velázquez giovane. (Venturi, 1933) Il dipinto è riprodotto nelle due pubblicazioni da uno scatto del fotografo milanese Dino Zani, ma la stampa dell’immagine risulta in entrambi i casi impastata di nero e non leggibile adeguatamente, impedendo di cogliere tutte le sottigliezze pittoriche che il ritratto propone e che erano state colte dal vivo, almeno da Aurelia Perotti, che fa dono dell’immagine al Venturi Senior. Per pura coincidenza – se esistono le coincidenze –, dovendo studiare un altro ritratto inedito di Giulio Campi degli anni Trenta del Cinquecento, nel gennaio di quest’anno ho richiesto la foto Zani all’Archivio Fotografico del Comune di Milano, presso il Castello Sforzesco e l’ho ottenuta prontamente grazie alla cortesia di Silvia Paoli. Anche il potente file tiff (22MB) sembrava molto impastato nei neri, ma una semplice ripulita con Photoshop (e qui il mio ringraziamento va a Giada Delmiglio) ha potuto rivelare con agio i vari particolari del dipinto, tra i quali brillano di luce propria gli “accessori”. Confesso che non mi sarei aspettato di incontrare così presto de visu il ritratto, di toccare la sua pelle, di verificarne i pregi pittorici e cromatici, che le alterazioni delle vernici non offuscano più di tanto e che un abile intervento conservativo potrà rimuovere comodamente restituendo al dipinto tutte le sue virtù. Seppur datate, le due letture di Aurelia Perotti e Adolfo Venturi sono ancora estremamente veridiche e suggestive e mi evitano di incorrere in ripetizioni sia per quanto riguarda l’attribuzione del dipinto, corretta e storicizzata, che in una sua nuova descrizione; da quanto è dato capire, tuttavia, i due studiosi collocavano il ritratto a date prossime al ciclo affrescato nel coro di Sant’Agata a Cremona, nella seconda metà degli anni Trenta (1537-1538), una cronologia che non corrisponde assolutamente con quella che mi sono formato per la ritrattistica di Giulio. Certo, si colgono qua e là pensieri e personaggi in qualche modo analoghi, per esempio nell’episodio del Supplizio di Sant’Agata; ma anche in prove ritrattistiche di alto profilo, come il Ritratto di gentiluomo (della famiglia Magio?) di Dresda (Staatliche Kunstsammlungen, Gemäldegalerie Alte Meister, inv. 838 A), da me riferito al cremonese in anni recenti. Personalmente sono convinto che il nostro ritratto debba essere spostato a un momento successivo, ben dentro gli anni Sessanta, se non all’inizio del decennio successivo, in un momento che precede di poco la scomparsa del pittore, che sarà sepolto nella chiesa dei Santi Nazaro e Celso il 5 marzo 1573. Siamo nei pressi della gigantesca copertura dell’organo (1567) e dell’Ultima cena in Duomo (1569), della guasta Circoncisione di San Pietro al Po (circa 1570) e del San Francesco stigmatizzato della pinacoteca cremonese (1571; inv. 2123): un momento in cui lo sfarzo riesce a mescolarsi a una riflessione pietistica e devozionale del tema sacro, in diretta osservanza dei precetti borromaici. Al di là dei confronti di carattere stilistico, sono comunque due i motivi principali che mi confortano in questa ipotesi cronologica: il primo è che considero pietra angolare per poter studiare la ritrattistica di Giulio Campi a partire dagli anni Cinquanta, con una svolta decisa rispetto al passato, il cosiddetto Ritratto di Ottavio Farnese dei Musei Civici di Palazzo Farnese a Piacenza, diversissimo da tutti gli altri esemplari precedenti e ben inserito in una congiuntura emiliano-mantovana che vede in Francesco Primaticcio il suo alfiere principale. In secondo luogo i dati della moda, nell’abbigliamento ricco e sontuoso che esibisce l’anziano gentiluomo, corrispondono ad anni che non possono precedere il settimo decennio: fanno fede, ad annum, diversi ritratti datati del collega bergamasco Giovan Battista Moroni. Mi piace, per esempio, tentare un confronto impossibile con il sublime Ritratto di Gabriele Albani del Moroni – quello della celebre disputa sul “bernoccolo del conoscitore” –, in collezione privata a Milano, con il nostro personaggio: per entrambi si possono utilizzare i brani di Adolfo Venturi e Aurelia Perotti: «torreggia in una poltrona il vegliardo ferreo, inflessibile, non tocco dal tempo nella fibra gagliarda», «nobile e bella figura di vecchio gentiluomo dallo sguardo corrucciato ed altero»; sono vecchi che sprizzano energia e decisione, senza mostrare nemmeno per un momento il tarlo del dubbio.8 Ma il bergamasco è un personaggio di grande rilievo sociale non solo nella sua città, ma anche nei ruoli della Serenissima, ed esibisce importanti onorificenze, mentre il cremonese sembra un uomo legato agli interessi più prossimi, che sono ancora oggi, dopo secoli, quelli più intimamente legati alla terra e alle cospicue proprietà fondiarie. La tenda intricata di pieghe, nodi e sbalzi, con impunture dorate, fa da sfondo all’effigiato, seduto sulla solida savonarola, l’abbigliamento è da vero aristocratico, il suo sguardo vivido e severo rivela particolari emozionanti, come gli occhi grigioazzurri che ti scrutano con attenzione, senza fidarsi troppo di te; guizzano illuminando l’acribia nella resa delle minuzie, dalla barba e i capelli, ai veloci ed eleganti colpi di luce sugli abiti e sulla tenda. Non si riesce a leggere cosa c’è scritto sul foglietto abraso che regge nella mano destra: probabilmente l’iscrizione avrebbe risolto il problema dell’identità di questo personaggio davvero indimenticabile. Marco Tanzi Je peux affirmer sans crainte que j’ai connu ce tableau remarquable – naturellement seulement par l’analyse indirecte de l’image photographique, étant donné sa position éditoriale importante – depuis le début de mes études sur les peintres crémonais à la fin des années 1970: de 1977 à 1978 pour être précis. Le portrait austère et imposant d’un homme âgé a connu son apogée critique dans les années 1932-1933, lorsqu’il se trouvait à la Casa Gaslini de Milan et qu’il a été publié, avec la référence attributive correcte à Giulio Campi, par Aurelia Perotti dans sa monographie pionnière sur la famille des peintres crémonais, et par Adolfo Venturi dans l’un de ses volumes sur l’histoire de l’art italien consacrés au XVIe siècle. Il s’agit de textes que j’ai beaucoup consultés dans ma jeunesse, lorsque ma prédilection, aujourd’hui très ancienne, pour les frères de Crémone a commencé. Il vaut la peine de transcrire les deux descriptions, tant pour comprendre la considération dont jouissait le tableau à l’époque que pour se plonger dans deux belles pages de la prose artistique de l’époque : n’oublions pas que tout récemment, en 1929, était paru le Quesiti caravaggeschi de Roberto Longhi. Un autre portrait de Giulio Campi, une noble et belle figure d’un vieux monsieur à l’air renfrogné et hautain, se trouve dans la collection Gaslini à Milan. Ici aussi, l’ample draperie de l’arrière-plan et la riche robe noire garnie de fourrure sont à peine marquées par des taches de lumière : le col orné de dentelle et le fin mouchoir empreint de candeur ressortent par contraste. Blancs, les cheveux et la barbe sont élégamment taillés en pointe, tandis que les yeux brillent fièrement sous l’arcade sourcilière proéminente. Ce portrait est l’une des meilleures œuvres de Campi : son coup de pinceau agile et lâche devient délicat et prudent lorsqu’il s’agit de reproduire les traits du personnage inconnu avec un soin méticuleux et de rendre son expression intense avec une clarté incisive. La dérivation titianesque de l’art de Campi est également évidente, bien qu’il se montre ici très éloigné de la sérénité olympienne des héros de Titien et plus adhérent qu’il ne l’est à la réalité humaine de son modèle. (Perotti, 1932) Une œuvre plus ancienne de Giulio Campi, le Portrait d’un vieux gentilhomme dans la maison Gaslini, s’avère plus ancienne grâce à l’empreinte vénitienne de la couleur. Sur un fond drapé de velours, trônant dans un fauteuil, le vieil homme de fer, inébranlable, dont la fibre vigoureuse n’a pas été touchée par le temps, tient dans une main une lettre, dans l’autre un mouchoir, une œuvre picturale remarquable par la plénitude sensuelle du blanc mêlé de lumière. Le grand personnage, avec quelques taches d’argent sur les ourlets en fourrure de la zimarra en velours, s’aplatit dans l’ombre, laissant émerger la tête sévère avec une puissance de synthèse lumineuse jamais atteinte par Campi. Et la coïncidence spontanée de la vision fixée synthétiquement par la lumière avec la finesse détaillée de la barbe et des cheveux de soie blanche légère semble prodigieuse, dans ce portrait d’un homme autoritaire et rigide, où le Campi médiocre de la dame de la Casa Fassati marche d’un pas décidé vers les horizons du Caravage et du jeune Vélasquez. (Venturi, 1933) Le tableau est reproduit dans les deux publications à partir d’une prise de vue du photographe milanais Dino Zani, mais le tirage de l’image est dans les deux cas brouillé de noir et insuffisamment lisible, ce qui empêche de saisir toutes les subtilités picturales que le portrait propose et qui avaient été saisies en personne, au moins par Aurelia Perotti, qui a fait don de l’image à Venturi Senior. Par pure coïncidence – si coïncidence il y a -, alors que je devais étudier un autre portrait inédit de Giulio Campi des années 1630, j’ai demandé la photo de Zani aux Archives photographiques de la ville de Milan au Castello Sforzesco en janvier de cette année et je l’ai rapidement obtenue grâce à la courtoisie de Silvia Paoli. Même le puissant fichier tiff (22MB) semblait très boueux dans les noirs, mais un simple nettoyage dans Photoshop (et ici mes remerciements vont à Giada Delmiglio) a pu révéler avec facilité les différents détails de la peinture, parmi lesquels les “accessoires” brillent dans leur propre lumière. J’avoue que je ne m’attendais pas à rencontrer le portrait si tôt de visu, à toucher sa peau, à vérifier ses mérites picturaux et chromatiques, que les altérations de la peinture n’obscurcissent pas tant que ça et qu’une intervention de conservation habile sera en mesure d’éliminer confortablement, en restituant au tableau toutes ses vertus. Bien que datées, les deux lectures d’Aurelia Perotti et d’Adolfo Venturi restent extrêmement véridiques et suggestives, et m’évitent des répétitions tant au niveau de l’attribution du tableau, qui est correcte et historicisée, qu’au niveau de sa nouvelle description ; d’après ce que l’on peut en déduire, les deux chercheurs situent le portrait à des dates proches du cycle peint à fresque dans le chœur de Sant’Agata à Crémone, dans la seconde moitié des années 1530 (1537-1538), une chronologie qui ne correspond en rien à celle que j’ai formée pour le portrait de Giulio. Certes, on retrouve ici et là des pensées et des personnages quelque peu similaires, par exemple dans l’épisode du Supplizio di Sant’Agata ; mais aussi dans des portraits de premier plan, comme le Portrait d’homme de qualité (de la famille Magio ?) de Dresda (Staatliche Kunstsammlungen, Gemäldegalerie Alte Meister, inv. 838 A), que j’ai attribué à l’artiste crémonais au cours des dernières années. Personnellement, je suis convaincu que notre portrait doit être déplacé à une date ultérieure, bien dans les années 1560, sinon au début de la décennie suivante, juste avant la mort du peintre, qui a été enterré dans l’église Santi Nazaro e Celso le 5 mars 1573. Nous sommes à proximité du gigantesque couvercle d’orgue (1567) et de la Cène de la cathedrale (1569), de la Circoncision de saint Pierre au Pô (vers 1570) et du Saint François stigmatisé de la Pinacothèque de Crémone (1571 ; inv. 2123) : un moment où l’opulence parvient à se mêler à une réflexion piétiste et dévotionnelle sur le thème sacré, dans le respect direct des préceptes borroméens. Outre les comparaisons de nature stylistique, deux raisons principales me confortent dans cette hypothèse chronologique : la première est que je considère le Portrait d’Ottavio Farnese, conservé aux Musées civiques du Palais Farnèse de Plaisance, comme une pierre angulaire pour l’étude du portrait de Giulio Campi à partir des années 1550, avec un tournant décisif vers le passé, un portrait très différent de tous les autres exemples précédents et qui s’inscrit parfaitement dans le contexte artistique entre Émilie et Mantoue, dont Francesco Primaticcio était le principal porte-étendard ; deuxièmement, les données relatives à la mode, dans les riches et somptueux vêtements portés par le vieillard, correspondent à des années qui ne peuvent précéder la septième décennie: ad annum, plusieurs portraits datés du bergamasque Giovan Battista Moroni en sont la preuve. Je voudrais, par exemple, tenter une comparaison impossible entre le sublime Portrait de Gabriele Albani de Moroni – celui avec la fameuse dispute sur la “bosse du connaisseur” -, dans une collection privée de Milan, et notre personnage: pour les deux, on peut utiliser les passages d’Adolfo Venturi et d’Aurelia Perotti : “Tourne dans un fauteuil le vieillard de fer, inflexible, intact dans sa fibre galliarde”, “noble et belle figure de vieux gentilhomme au regard renfrogné et hautain” ; ce sont des vieillards qui respirent l’énergie et la détermination, sans montrer un seul instant le ver du doute. Mais le bergamasque est un personnage de grande importance sociale non seulement dans sa ville, mais aussi dans les rôles de la Sérénissime, et affiche des honneurs importants, tandis que le crémonais semble être un homme lié à ses intérêts les plus proches, qui sont encore, après des siècles, ceux qui sont le plus intimement liés à la terre et aux propriétés foncières ostentatoires. Le rideau complexe de plis, de nœuds et de surplombs, aux coutures dorées, sert de toile de fond à l’effigie, assise sur le solide Savonarole, dont les vêtements sont ceux d’un véritable aristocrate, dont le regard vif et sévère révèle des détails passionnants, tels que les yeux gris-bleu qui vous scrutent attentivement, sans trop vous faire confiance; ils brillent d’acuité dans le rendu des détails, de la barbe et des cheveux, aux traits de lumière rapides et élégants sur les vêtements et sur le rideau. On ne peux pas lire ce qui est écrit sur le morceau de papier abîmé qu’il tient dans sa main droite : l’inscription aurait probablement résolu le problème de l’identité de ce personnage vraiment inoubliable. Marco Tanzi Nous remercions le Professeur Marco Tanzi d’avoir confirmé l’attribution sur la base de la photographie en haute résolution et d'avoir rédigé la fiche aux pages précédentes.Vente terminée
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